La successiva tappa del nostro viaggio alla scoperta del sintetico è perfettamente introdotta da una memoria di un testimone dell’orrore nazista, Primo Levi, ed è contigua con quanto visto nei capitoli precedenti. 

tornare alle memorie di Primo Levi ci permette di mettere a fuoco il momento in cui la realtà sintetica da timida imitazione casuale del reale diventa forza plasmante del dominio attuale dell’uomo sul nostro pianeta. L’antropocene è di fatto inaugurato. Con il termine antropocene si indica un’era geologica in cui ciò che produce le mutazioni del nostro pianeta non sono i terremoti, l’impatto degli asteroidi, le glaciazioni o qualche eruzione, bensì l’uomo.

Se tra 10.000 anni l’umanità esisterà ancora, i futuri geologi potrebbero vedere negli strati della roccia un cambio di era grazie al ritrovamento di reperti differenti da quelli presenti in tutti gli strati geologici sottostanti. L’uomo dell’antropocene ha prodotto e lasciato nell’ambiente sostanze prima sconosciute che non hanno un’origine naturale: prodotti chimici, materiali plastici e isotopi radioattivi. La realtà sintetica non cambia solo l’uomo e il suo rapporto con la realtà, cambia anche il volto del nostro pianeta e la sua storia. Affronteremo più avanti in maniera più dettagliata la questione; ora dobbiamo tornare con la memoria a quei giorni bui della storia dell’umanità che furono le persecuzioni e gli stermini nazisti della II Guerra Mondiale.

Primo Levi è forse conosciuto al grande pubblico per le memorie, raccolte nel testo Se questo è un uomo, della sua prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz. La storia che a noi interessa però è contenuta in una serie di racconti dal titolo Il sistema periodico. All’interno di questa raccolta, il penultimo racconto è intitolato Vana­dio, dal nome di un elemento chimico presente nella tavola di Mendeleev. Con numero atomico 23, questo elemento raro, duttile e duro ben simboleggia, agli occhi dell’autore, tre qualità che si ritrovano nella storia.

Vanadio è uno scritto che parla ancora del Lager - in particolare, degli episodi avvenuti nel campo di lavoro di Monowitz (uno dei tre campi che formavano il complesso di Auschwitz) dove Levi fu detenuto e dove venne per un certo periodo impiegato come chimico. L’idea dietro la realizzazione del campo era quella di impiegare i deportati schiavi nei lavori di costruzione dell’allora più grande stabilimento chimico d’Europa. Questa fabbrica però, costata migliaia di morti, non entrò mai in produzione. Levi ricorda di uno dei chimici che si trovavano nel laboratorio della Buna.

Sin qui la storia che leggiamo in Vanadio. Ma c’è un’altra storia, ancora tutta da scrivere, che s’intreccia con quella del racconto di Il sistema periodico. La Buna è un nome, composto con le sillabe iniziali di butadiene e natriumsodio nell’etimo latino con cui si chiamano gli elementi della tavola periodica – che la IG Farben aveva inventato, come già fatto per i brevetti sui farmaci.

Buna, chimicamente descritta dalla formula C6H5CH=CH2, è quindi il nome commerciale della gomma sintetica che le SS e la IG Farben, in un affare colossale, volevano produrre ad Auschwitz. Come visto nelle pagine precedenti l’intreccio ormai inscindibile tra lo sviluppo industriale del Novecento, le necessità di Stato e la possibilità di fare guadagni enormi possono dare luogo a scenari impensabili.

Ma come è possibile che il luogo simbolo dell’orrore nazista, Auschwitz, e gli interessi del Reich fossero tutti legati a un prodotto dall’apparenza così insignificante come la gomma? Per comprendere il ruolo strategico della gomma e il perché dell’impegno che l’industria chimica ha profuso nella realizzazione di una sua variante sintetica dobbiamo velocemente inquadrare e ripercorrere la storia di questo elemento.


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